Nacque a Jesi il 28 maggio da Rosa Papa, sarta e casalinga, e da Rodolfo, barbiere; tra i ricordi d’infanzia, il bombardamento di Ancona del 24 maggio 1915 e il primo disegno realizzato, un treno. Conseguito il diploma presso l’istituto tecnico Cuppari di Jesi nel 1926, lavorò, l’anno seguente, come decoratore in una fabbrica di porcellane. Nel 1928, grazie a una borsa di studio, si stabilì a Roma e si iscrisse al liceo artistico di via Ripetta e in seguito all’Accademia di Belle Arti. In questo periodo, a malapena riusciva a vivere due settimane, per non saltare qualche pasto realizzò centinaia di disegni, girovagando lungo il Tevere e i quartieri periferici della capitale. Divenne così amico di Ennio Flaiano e Vincenzo Cardarelli e pubblicò i suoi primi disegni sulla terza pagina del Tevere e su riviste come L’Italia letteraria e Il Selvaggio. Strinse anche amicizia con i pittori Franco Gentilini, Corrado Cagli e Libero de Libero.
Influenzato inizialmente dalla Scuola romana, le sue vedute di città risentono soprattutto della lezione di Camille Corot e di Paul Cézanne. Nel 1935, infatti, grazie al ricavato dalla vendita di dieci disegni ad Antonio Muñoz, direttore del Museo di Roma, si era recato a Parigi, dove, oltre a visitare musei e gallerie, aveva conosciuto artisti importanti (Giorgio De Chirico, Massimo Campigli, Filippo De Pisis) e scoperto la pittura di Cézanne, che lo aveva colpito in particolar modo. Nel frattempo aveva già esposto alla III Sindacale laziale (1932), alla I Mostra nazionale del Sindacato degli artisti (1933), alla II Mostra interprovinciale d’arte marchigiana di Pesaro (1934) e, presentato da Alfredo Mezio, al «Bragaglia fuori commercio» (1934), prima mostra romana. Nel 1935 prese parte alla II Quadriennale d’arte di Roma. Nel 1936 eseguì nel palazzo dell’Anagrafe un affresco dal titolo Carnevale romano, nello stesso anno espose per la prima volta alla Biennale di Venezia, dove sarebbe tornato più volte, e nella città natale (Palazzo della Signoria, «Mostra d’Arte dell’Esino»).
Nell’estate del 1936 conobbe da Dreher, birreria ritrovo di giornalisti e intellettuali, Curzio Malaparte, di cui divenne amico intimo e una sorta di segretario: il sodalizio sarebbe venuto meno solo con la morte dello scrittore toscano (1957). Tamburi collaborò con Malaparte curandone la rivista Prospettive e illustrandone diverse opere; dello scrittore lasciò un ricordo suggestivo in Malaparte come me (Milano 1980), libro scritto con grande asciuttezza e l’obiettivo di raccontare lo scrittore come effettivamente era. In Francia dove l’anno precedente era uscito con il titolo Malaparte à contre-jour raggiunse il secondo posto nella classifica dei libri più venduti. Nel 1937, dopo un decennio in cui la sua produzione era rimasta legata prevalentemente al disegno e alla decorazione, Tamburi passò convintamente alla pittura, e due anni dopo vendette il primo quadro. Nel 1939 fu presente alla III Quadriennale nazionale d’arte, rassegna cui partecipò in seguito nel 1943, nel 1951, nel 1955 e nel 1972; sempre nel 1939 fu presente a Milano, insieme al gruppo romano, per la seconda mostra di Corrente. Insieme a Renato Guttuso, Virgilio Guzzi, Luigi Montanarini, Alberto Ziveri, Pericle Fazzini, espose nel gennaio del 1940 alla Galleria di Roma in una collettiva sintomatica del nuovo clima realista, in questo stesso anno aprì uno studio in via Sistina. Nel 1941 Gino Severini gli dedicò una piccola monografia edita da Documento nel primo volume della collana Artisti d’oggi. Richiamato alle armi nel 1942, prestò servizio a forte Boccea, a Roma, nel corpo speciale dei lanciafiamme, ma l’8 settembre 1943 abbandonò l’esercito; nelle sue memorie avrebbe ricordato che in quegli anni nessuno gli aveva mai chiesto la carta d’identità o l’iscrizione al Partito nazionale fascista.
Nel 1944 pubblicò il volume di disegni Piccola Roma, con una poesia di Giuseppe Ungaretti di cui divenne amico, e illustrò le Passeggiate romane di Stendhal. Dagli iniziali richiami a toni e modi postimpressionisti, la sua pittura si sviluppò verso soluzioni più realistiche e personali, immediate negli schemi di composizione con forme e colori semplici e sintetici; si dedicò anche al paesaggio, alla figura e talvolta ai fiori, ricordo dei suoi esordi marchigiani. Negli anni Quaranta divenne amico anche del regista Marcello Pagliaro e collaborò con diversi teatri romani: gli venne commissionata la decorazione dell’atrio del Teatro E-42 con la Storia del teatro dalle origini al melodramma, di cui vennero realizzati solo i sei cartoni preparatori; nel 1941, invece, disegnò figurini e scene per una ripresa de La sacra rappresentazione di Abrham e Isaac di Feo Belcari. Sue tele e oli furono esposti nella galleria Mediterranea di Palermo (1940) e nelle gallerie Barbaroux (1941) e Annunciata (1943) di Milano.
Tamburi si era sposato il 7 novembre 1932 a Roma con la coetanea Laura Bellini (Ancona, 1911-Roma, 1973), allieva della Scuola romana, che sarebbe divenuta pittrice «baroccheggiante e magmatica»; il matrimonio fu dichiarato nullo nel 1948. Si sposò poi il 10 ottobre 1968 a Parigi, con René Suzanne Toma. Stabilitosi nel 1947 nella capitale francese, sviluppò la pittura di paesaggi urbani: era particolarmente affascinato dalla città, ritratta spesso come spazio silenzioso e malinconico; i paesaggi metropolitani di Roma e di Parigi (e poi di New York) furono rappresentati nelle loro analogie e diversità, ma sempre restituiti con una personale frontalità di modi espressivi, ormai distanti dalla Scuola romana; le forme di Tamburi risultano, infatti, più strutturate, e il suo fare più raccolto e meno sciolto. Continuò a dedicarsi alla scenografia e all’illustrazione, con acqueforti, litografie e disegni, di opere di poeti e scrittori, antichi e moderni. A Parigi instaurò un rapporto fecondo, tra gli altri, con il poeta Blaise Cendrars e i pittori Jacques Villon e Maurice de Vlaminck. Le vie e le case parigine divennero il leitmotiv della sua produzione artistica; tenne la sua prima personale lungo la Senna nel 1948, presso la galleria Rive gauche, ed essa venne visitata da Malaparte, De Pisis e Valentino Bompiani.
Il successo e la fama di Tamburi crebbero rapidamente: nel 1949 il giornalista francese Marcel Sauvage gli dedicò una pubblicazione; nel 1949-50 l’artista aderì al progetto della importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, oltre a un autoritratto, l’opera La fornace. A partire dal 1950, anno in cui ricevette il premio Roma per la pittura, viaggiò in diversi Paesi europei, tra cui Belgio e Olanda, mantenendo saldi contatti con l’ambiente romano e italiano e la corrispondenza con il giornalista Giuseppe Luconi, memoria storica della città natale. Espose a Basilea, Parigi e Bruxelles.
Nel 1952 prese parte come attore protagonista all’episodio Invidia di Roberto Rossellini nel film I sette peccati capitali, diretto da diversi registi italiani e francesi. Grande successo ebbe alla II Mostra nazionale d’arte di Milano (1951) e all’Accademia del Ceppo di Pistoia (1955); nel 1956 visitò la Spagna e ricevette il premio Marzotto. Nel 1957 fu negli Stati Uniti come inviato speciale della rivista newyorkese Fortune, con l’incarico di ritrarre alcune città americane; nello stesso anno espose al Museo d’arte moderna di San Francisco e alla galleria Landau di Los Angeles. Si dedicò intensamente ai ritratti di amici, artisti e intellettuali (tra cui Carlo Levi, Domenico Cantatore, Carlo Carrà, Sonia Delaunay, Rudolf Nureyev).
Rientrato in Europa, riprese a viaggiare visitando Londra (1961) per poi recarsi in Grecia e Austria: contemporaneamente allestì un numero consistente di mostre nelle maggiori città italiane. In questi anni si segnalò come ‘pittore delle finestre’, continuando poi con la serie delle porte sbarrate, delle crete e dei muri di Pompei. Nel 1963-64 espose alla mostra «Peintures italiennes d’aujourd’hui», organizzata in Medio Oriente e nell’Africa settentrionale. Nel 1964 donò alla Pinacoteca civica di Jesi numerosi disegni, guazzi e litografie. Nel 1969, cominciò a progettare il premio Città di Jesi – Rosa Papa Tamburi, dedicato alla madre e istituito ufficialmente nel 1974. Sempre nel 1969 espose a Torino, Firenze, Roma e alla Galleria 07 di Vienna. A partire dal 1970, anno in cui avviò una vivace collaborazione con le Edizioni Ghelfi di Verona, riprese a viaggiare intensamente, pur mantenendo la residenza a Parigi. Nel 1971 ricevette la medaglia d’oro di prima classe ai benemeriti della cultura dal presidente della Repubblica e nel 1975 il premio internazionale Città Eterna a Roma. Nello stesso anno si svolse a Jesi la prima edizione del Rosa Papa Tamburi. Sue opere abbellirono le edizioni del Touring Club dedicate alle metropoli (celebre Qui Nuova York di Ruggero Orlando, Milano 1971, impreziosita dalle vedute aeree del fotografo statunitense Charles Rotkin) e le edizioni poetiche di autori famosi (Scelta da: I fiori del male di Charles Baudelaire, Ancona 1980, e Madrigali e ballate di Francesco Petrarca, Ancona 1981). Tradusse e realizzò i disegni per le memorie postume di artisti internazionali, come Svolta pericolosa. Ricordi di vita (Bari 1967) di Vlaminck e Ricordi della mia vita (Verona 1974) dello scultore bielorusso Ossip Zadkine.
Scrisse numerosi libri, alcuni di particolare rilievo e ricchi di memorie come Incontri (Bari 1965), Calepini (Bari 1968), Ritratti romani (Roma 1968), Stradario ’68 (Milano-Verona 1970), Itinerari. America ’57 (Milano-Verona 1970, con prefazione di Giuseppe Prezzolini), Quaderno del pittore (Verona 1975), Pagine di viaggio (Verona 1980). Nel 1979 l’Éditions Denoël di Parigi e il Cigno Stamperia d’Arte di Roma pubblicarono una preziosa opera in tre volumi intitolata Paris 20+1, con testi di Nino Frank, Georges Pillement e Paul Guth: Tamburi realizzò per essa centocinque disegni in bianco e nero e ventuno incisioni in acquaforte e acquatinta a più colori.
Nell’ultimo decennio di vita diradò i viaggi, continuando però a cogliere in essi impressioni e immagini per i suoi itinerari di tela e carta. Nel 1990 conferì alla galleria Gioacchini di Ancona un mandato esclusivo per distribuire, archiviare e autenticare le sue opere.
Tra le più importanti mostre antologiche vanno menzionate quelle di Ferrara (Galleria civica d’arte moderna, 1974), Sacile (1978, intitolata «Il mio teatro»), Cortina d’Ampezzo (1994, «Sessant’anni di pittura»), Jesi (1998, «Tamburi: le città, i volti, le maschere») e Ancona, queste ultime ospitate, nel 2002 e nel 2010, alla Mole Vanvitelliana. Di carattere distaccato, avulso dalla politica, tutto intento nel lavoro quotidiano, Tamburi ha dato vita a un’opera compatta e coerente, priva di deviazioni e inversioni, lontana dallo sperimentalismo d’avanguardia quanto rispettosa di personaggi come Giorgio Morandi. Sensibile a ogni esperienza tecnica e speculativa, la sua pittura si è distinta per freschezza, eleganza e padronanza di tratto, trovando nel colore la fonte essenziale di una rara sensibilità poetica. La scoperta dei muri e delle facciate di palazzo ha completato il suo percorso artistico, conseguendo una frontalità compositiva totale e focalizzando il soggetto sui particolari.
Morì a Parigi il 15 giugno 1994. È sepolto nel cimitero di Montparnasse.
Museo civico e della mail art di Montecarotto (AN)
Pinacoteca civica e Galleria d’Arte contemporanea di Jesi (AN)
Museo Palazzo Ricci, Macerata