Nacque ad Ascoli Piceno il 1 apr. 1846 da Igino, notaio, della famiglia ascolana dei Cantalamessa Carboni. La personalità del pittore venne maturando nell’ambiente familiare culturalmente raffinato: il padre era uomo di grande esperienza sia nel campo giuridico sia in quello letterario, e lo zio Giacinto Cantalamessa Carboni aveva scritto le Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli 1830.
Fin da adolescente studiò disegno ad Ascoli alla scuola dello scultore ascolano Giorgio Paci. Dal 1864 andò a studiare a Bologna dove fu poi avviato agli studi legali, ma, all’insaputa del padre, frequentava l’Accademia di Belle Arti dove insegnava Antonio Puccinelli. Una delle sue prime opere pittoriche di questo periodo bolognese è il Plauto fornaio (1868) che all’Esposizione del 1869 a Fermo segnò il primo successo con l’assegnazione del primo premio. Nello stesso anno (1869) Cantalamessa si trasferì a Firenze, alla scuola di Antonio Ciseri: del periodo fiorentino è il ritratto del patriota e scrittore garibaldino Candido Augusto Vecchi.
Dal 1870 si stabilì di nuovo ad Ascoli Piceno, continuando a dedicarsi alla pittura e alternando frequenti soggiorni romani che ebbero notevole influsso sulla sua formazione artistica. La sua pittura piaceva: così, nel 1872, il comune di Ascoli gli commissionò un quadro per celebrare Cecco d’Ascoli: a causa di una forte depressione, che da allora in poi ne condizionò tutta l’attività, riuscì a portarlo a termine solamente nell’anno 1875.
L’opera, Cecco d’Ascoli tiene una lezione a Firenze, fu solennemente inaugurata il 14 marzo 1876 con grande successo di critica e si conserva tuttora nella Pinacoteca comunale di quella città; il pittore ritrasse se stesso nel piano di fondo a sinistra dietro la cattedra dall’alto schienale.
Il conte Marcatili di Ascoli, deputato al Parlamento, volle Cantalamessa come precettore dei suoi due figli e suo segretario, e proprio il soggiorno dell’artista in casa Marcatili (1876-88), tra Ascoli e Roma, segna l’ultima fase della sua attività di pittore. Dai soggetti delle opere, oggi non reperite, come Il montanaro cieco, Marozia e Ugo di Toscana dinanzi al cadavere di papa Giovanni X, eseguito a Roma tra il 1884 e il 1885, risulta chiaro che egli seguiva la corrente romantica nelle sue diverse manifestazioni in voga in quegli anni.
Cantalamessa eseguì anche opere di soggetto religioso per chiese di Ascoli Piceno (il Patrocinio di s. Giuseppe per S. Tommaso e S.Gioacchino con la Madonna bambina per S. Agostino) e ritratti (tra gli altri, quello dello scultore Nicola Cantalamessa Papotti, conservato nella Pinacoteca di Ascoli, e quelli di Mons. Emilio Taliani e del Re Umberto I in collezioni private).
In questi anni si dedicò anche a comporre racconti per bambini (Gigino l’orfanello, Bologna 1875, e Sei racconti, ibid. 1880), e pubblicò nel Giornaletto dei fanciulli, fondato nel 1874 e diretto dal suo amico Giuseppe Castelli, Scritti d’arte per fanciulli, raccolti poi a cura di Vincenzo Farina (Ascoli 1927), oltre a novelle storiche ad imitazione del Selvatico (Maria Filotesio, ibid. 1871). Professore di storia dell’arte nel collegio Venturoli a Bologna nel 1889, Cantalamessa decise di abbandonare definitivamente la pittura, che richiedeva da lui uno sforzo superiore alla sua energia fisica, per dedicarsi completamente agli studi di storia e critica d’arte.
L’occasione viene dalla Legge che sopprime le Confraternite religiose. A Roma queste possedevano, oltre a sterminate biblioteche, una quantità di dipinti e oggetti d’arte, opere egregie e altre di scuola: tutte devono essere catalogate e attribuite. Nel 1890 a Bologna uscirono i suoi Saggi di critica d’arte, dove raccolse le sue prime tre conferenze di storia dell’arte bolognese. Fu incaricato dal ministero della Pubblica Istruzione di compilare il catalogo delle opere d’arte di proprietà delle confraternite romane (1891) e di aggiornare i cataloghi delle gallerie fidecommissariali romane (1892), lavoro per il quale dovette risiedere a lungo a Roma, impegnandosi scrupolosamente nell’annotazione dei dati e nelle interpretazioni stilistiche.
Nel 1893 fu nominato vice ispettore alle Gallerie e gli fu affidata la direzione della Regia Galleria estense di Modena; nel riordinamento della galleria, completato nell’estate del 1894, ebbe la collaborazione di Adolfo Venturi che aveva conosciuto da poco attraverso Corrado Ricci.
Nel 1894 fu inviato dal ministero della Pubblica Istruzione a Venezia con funzione ispettiva alle Reali Gallerie dell’Accademia e al Museo archeologico e con l’incarico di riordinare i due istituti; il 17 maggio 1895 assunse la direzione delle Gallerie risolvendo con abilità le complicate vicende burocratiche per la definizione giuridica della loro piena autonomia, non solo amministrativa. Lasciò Venezia su sua stessa richiesta, nel 1906, amareggiato per una polemica con l’opinione pubblica veneziana e con il comune di Venezia intorno a questioni di competenza per restauri di pittura. Ottenne dal ministro Paolo Boselli il trasferimento alla direzione della Galleria Borghese di Roma (16 maggio 1906).
Collaborò tra il primo e il secondo decennio del Novecento con la “Manifattura di Signa” realizzando una serie di modelli in ceramica in stile neoclassico. Fece parte della Commissione di vigilanza sulla basilica di San Marco, nonché di una commissione per la conservazione degli affreschi di S. Maria Antiqua in Roma (1901) e di una commissione per il Cenacolo di Leonardo da Vinci (1906). Fu membro del Consiglio superiore delle Belle Arti, dal quale nel 1911 dovette dimettersi per ragioni di salute, e dal 1908 a tutto il 1923 fu primo soprintendente alle Gallerie, Musei e Oggetti d’arte di Roma e del Lazio.
Morì a Roma il 12 settembre 1924.