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Osvaldo Licini

Monte Vidon Corrado (FM), 1894 – 1958

Natura Morta Fiori
Natura morta
Casa museo a Monte Vidon Corrado (FM)

Trascorse l’infanzia con il nonno Filippo, essendosi la sua famiglia trasferita nel 1895, a Parigi, dove il padre iniziò a lavorare come cartellonista, la madre diresse un atelier e la sorella, Esmé  fu ballerina all’Opéra. A quattordici anni si iscrisse all’Accademia di belle arti di Bologna fino al diploma nel 1914. In Accademia furono suoi compagni Giorgio Morandi, Giacomo Vespignani, Mario Bacchelli, Severo Pozzati e, dal 1912, Mario Tozzi. Aderì al futurismo partecipando ad alcune serate del movimento a Modena dal 1913, a Bologna e Firenze. Licini si interessò di letteratura d’avanguardia e si sperimentò nella scrittura: nell’estate del 1913 scrisse i Racconti di Bruto, cinque brevi storie. 

Nel marzo del 1914 partecipò a un’esposizione con Morandi, Pozzati, Vespignani e Bacchelli nei sotterranei dell’hotel Baglioni di Bologna, presenziata da Marinetti, Carrà, Boccioni e Russolo. La produzione di questi anni appare scarna a causa delle distruzioni volontarie e delle cancellazioni successive dei quadri figurativi: restano l’Autoritratto (1913: Livorno, collezione Licini) e il ritratto di Giacomo Vespignani (1913). Dopo il trasferimento a Firenze nel 1915 per corsi di figura e di scultura, ferito in guerra decise di trascorrere la convalescenza presso la sorella Esmé, a Parigi; qui la sua vita ebbe una svolta: conobbe Picasso, Cocteau, Cendrars, Ortiz, Kisling; il mercante d’arte Zborowski gli acquistò i primi quadri e infine divenne amico di Amedeo Modigliani. Fu un’amicizia notturna, trascorsa nei caffè clandestini nonostante il coprifuoco. 

Le versioni del 1917 di Soldati italiani, Ballerine, Cacciatore, Due pattinatori (Livorno collezione Licini) e Lo scontro denotano un’omogeneità stilistica – parigina – e possono essere considerate una serie a sé, per il monocromo o la dicromia, la stilizzazione, la dinamicizzazione dell’immagine grazie all’uso di ombre e di sfaccettature. Tra il 1917 e il 20 i soggiorni a Parigi si alternarono a prolungate soste a Firenze; dall’inizio del secondo decennio, decise di vivere con una certa regolarità nella capitale francese. Lettere e testimonianze documentano soggiorni nelle Marche durante le estati del 1923 e del 1924 e un incarico presso l’istituto tecnico di Fermo. A abitava presso la madre al n. 28 di rue du Faubourg Poissonnière à Montmartre; nel 1924, si trasferì nella grande abitazione della sorella a boulevard Lannes, dove tenne la sua seconda mostra personale (la prima, nel 1922, fu nella galleria Devambez). 

L’amicizia con De Pisis è testimoniata da diverse opere con dedica, con qualche ispirazione in alcune nature morte della metà degli anni Venti. Inizialmente aveva esposto nei caffè: nel 1921 nella collettiva “Le Cent du Parnasse” alla Rotonde e l’anno dopo i “Cent vingt artistes au café du Parnasse”; nel 1924 partecipò alla mostra della Compagnie des peintres et sculpteurs professionnels alla Closerie des Lilas.

Nel 1921 espose tre studi al Salon d’automne; nel 1922 vi tornò con Jeune berger (Livorno, collezione Licini), Portrait de Nerina e Tête de garçon; nel 1923 fu presente al Salon des indépendants con tre opere (Portrait de femme, in vendita per 1000 franchi; La cueillette, per la stessa cifra; ed Étude, per 500 franchi); nel 1925 con due dipinti (Paysage e Portraitde fillette). Nel 1926 fu invitato con tre opere, una Natura morta e due Marine, alla I Mostra del Novecento italiano al palazzo della Permanente di Milano. In quell’anno sposò Nanny Hellstrom, pittrice svedese conosciuta in Francia, allieva di A. Lhote all’Académie Julian; con lei decise di tornare definitivamente in Italia, a Monte Vidon Corrado. Il paese divenne il luogo della sua solitaria meditazione pittorica, incentrata sul paesaggio marchigiano. Nel 1928 fu presente alla prima mostra degli “Italiens de Paris”, al Salon de l’escalier, insieme con, tra gli altri, Gino Severini, Massimo Campigli, Filippo De Pisis, Francesco Menzio e Renato Paresce.

La meditazione sull’opera di Matisse e Cézanne è al centro dell’interesse del Licini negli anni Venti, senza particolari ispirazioni; suggestioni si possono cogliere tra qualche ritratto e nudo con quelli di Modigliani; è possibile proporre confronti tra le malinconiche figure di Moise Kisling e i ritratti della madre del pittore, o tra le marine dipinte sulla Costa Azzurra e sull’Adriatico e le spiagge di Albert Marquet e di Kees Van Dongen. Ma, soprattutto, la Francia significò l’elaborazione delle ricerche d’avanguardia: a Parigi, per esempio, si delineò la formulazione della figura dell’angelo (L’Arcangelo e Angelo Gabriele: Livorno, collezione Licini, 1919) che ebbe tanta importanza nella produzione successiva.

Scontento della prima quadriennale di Roma (1931), viaggiò con la moglie nell’Europa del Nord: Göteborg, Amburgo, Stoccolma e sul finire dell’anno soggiornò a Parigi a studiare il movimento non figurativo, di cui facevano parte Paul Mondrian, Vasilij Kandinsky, Anton Pevsner, Kurt Schwitters e Hans Arp. Nel silenzio di Monte Vidon Corrado, Licini maturò la sua conversione all’astrattismo: affermò di aver messo al rogo – in realtà in soffitta – le opere figurative e iniziò (1933) il sodalizio col critico Giuseppe Marchiori che lo seguì per tutta la vita. Si dedicò a una pittura caratterizzata dall’asimmetria, dall’equilibrio instabile – come Il bilico (Livorno, collezione Licini) e L’equilibrista del 1932 – e da un gusto del colore. Nel 1934 presso la galleria del Milione di Milano, il Gruppo degli astrattisti italiani lo invitò a partecipare alla II Quadriennale; nel 1935, a Roma espose con gli astrattisti – Castello in aria (Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, collezione Giovanardi), Stratosfera e Il bilico (Livorno, collezione Licini): sembra opportuno parlare di affinità con il Gruppo degli astrattisti, nella comune battaglia per il rinnovamento dell’arte osteggiato dal regime fascista. In marzo fu presente con sei oli alla I Mostra collettiva di arte astratta nello studio di Felice Casorati ed Enrico Paolucci a Torino; in maggio ebbe luogo la sua prima personale in Italia alla galleria del Milione dove espose trentasette dipinti e alcuni disegni datati dal 1909 al 1934.

Nel luglio del ‘35. fu a Göteborg e, a settembre, tornò a Parigi dove poteva discutere Kandinsky, Christian Zervos, Man Ray e Alberto Magnelli. Nel 1936 partecipò alla Mostra di pittura moderna italiana ed ebbe modo di conoscere l’ambiente degli architetti e pittori comaschi. Licini amava l’arte, la letteratura e la musica contemporanea ma coltivò un vivo interesse per l’espressività medievale: le Nozze di san Francesco del Sassetta a Chantilly i mosaici di S. Vitale a Ravenna, le pitture murali di S. Maria Antiqua a Roma, erano come suggestiva fonte stilistica.  Nel 1938 a Roma partecipò, a fianco di Marinetti, alla conferenza al teatro delle Arti sulla “Italianità dell’arte moderna”, in difesa della libertà della ricerca artistica d’avanguardia e contro la distruzione delle opere d’arte che stava avvenendo nella Germania nazista. Iniziò il sodalizio con il filosofo Franco Ciliberti e il suo movimento “Valori primordiali”; nel 1939, per manifestare la solidarietà a Marinetti, espose con i futuristi alla III Quadriennale, senza aderire al futurismo. Gli anni che seguirono l’inizio della seconda guerra mondiale furono di riflessione e di silenzio: “Dichiaro che comincio a vergognarmi di essere uomo, di recitare ancora questa commedia”.

A Monte Vidon Corrado, riprese le opere figurative insieme con quelle astratte e rielaborò alcuni lavori dipingendovi sopra diversi strati di colori e nuove immagini. Nell’aprile del 1946 fu eletto, nelle liste del Partito comunista italiano, sindaco di Monte Vidon Corrado, carica che mantenne fino al 1956. Nel 1948 fu presente alla prima Biennale del dopoguerra con tre dipinti: due versioni di Memorie d’Oltretomba e il Miracolo di s. Marr…co, una citazione dei “miracoli” del Tintoretto. A Venezia si entusiasmò per Picasso, per la prima volta presente in Italia con una personale, e per un piccolo disegno di Scipione (G. Bonichi), Cortigiana romana. Quando nel 1950 Licini espose alla XXV Biennale di Venezia nove dipinti con un misterioso personaggio, l’Amalassunta, la luna “amica di ogni cuore un poco stanco”. Il 1956 e il 1957 furono anni di felicità creativa e di ampi riconoscimenti critici.

Nel 1957 partecipò con una personale alla mostra torinese “Pittori d’oggi. Francia-Italia” dove espose diversi Notturni. Alcune collezioni pubbliche, come la Galleria civica di Torino, iniziarono ad acquistare le sue opere. Sono gli anni conclusivi della sua vicenda umana: nel 1958 ebbe luogo al Centro culturale di Ivrea la sua più importante mostra antologica, dove furono esposte sessantadue opere dal 1921 al 1957. Qualche mese Licini partecipò alla XXIX Biennale di Venezia con cinquantatré opere dal 1925 al 1958, che gli valsero il gran premio internazionale per la pittura. La musica e i fuochi d’artificio lo accolsero al suo ritorno a Monte Vidon Corrado: morì l’11 ottobre 1958.

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