Artista schivo e introverso, Fernando Mariotti nacque a Pesaro nel 1891, figlio di Vittorio e Olga Guerrini, figlia del primo Sindaco in carica dopo l’Unità d’Italia, Domenico Guerrini. Dopo aver seguito alcuni corsi serali alla locale Scuola d’Arte cittadina, nel 1908 si iscrisse all’Istituto di Belle Arti di Urbino, e poi dal 1911 al 1913 frequentò le Accademie di Roma e Firenze. Prima del conflitto Mondiale nel 1913 ottenne a Urbino l’abilitazione all’insegnamento, che gli permise di insegnare nel 1924-25 alla Scuola d’Arte di Pesaro e successivamente all’Istituto Magistrale di Cosenza e quindi a Pontecorvo (FR), per approdare nell’antica cittadina di Fano nel 1935 e finire il suo pellegrinaggio alle Magistrali di Pesaro fino all’età pensionabile avvenuta nel 1958. Morì a Pesaro il 18 gennaio 1969 all’età di 78 anni.
Le prime opere del periodo urbinate risentono dell’influsso del verismo ottocentesco che informava ancora la pittura e la grafica dei suoi maestri, Morelli e Castaldini. A Roma si avvicinò all’Espressionismo e al Secessionismo viennese, che ebbe modo di conoscere alle mostre della Secessione romana dal 1913 al 1916. Applicò questo linguaggio ai temi sociali, moti e manifestazioni socialiste, e agli eventi bellici, cui partecipò in prima persona. Notevole anche la produzione di ritratti di amici e familiari e di autoritratti in cui è evidente una violenza espressiva deformante che echeggia Munch e Schiele.
Tra il 1918 e il 1921 realizzò un ciclo di opere sacre, cariche di elementi simbolici e metafisici.
Dal 1924, attraverso le riviste, e le visite alle Biennali veneziane, seguì la formazione del gruppo Novecento, baluardo del ritorno alla grande tradizione italiana e le forme geometrizzanti nacquero per l’esigenza di “purificarsi” dall’eccessivo soggettivismo.
Negli anni Trenta cadde in una crisi creativa che lo portò ad abbandonare per qualche tempo la pittura e in seguito lo spinse verso una produzione intimista e malinconica, soprattutto ritratti di familiari e nature morte, con una pennellata che si riallaccia alla produzione espressionista giovanile.
Negli anni Quaranta divenne significativa la figura del manichino, simbolo di una società incapace di comunicare e negli ultimi anni dipinse quasi esclusivamente autoritratti realizzati con pochi toni essenziali e una grande attenzione alla materia pittorica. La sua opera rimase per gran parte ignota fino al 1980 quando venne riscoperto nell’esposizione pesarese “Arte e Immagine tra Ottocento e Novecento. Pesaro e Provincia”.
Mariotti non è stato un ritrattista tradizionale, non ha fatto entrare nello studio clienti che gli chiedessero le proprie immagini: le persone raffigurate sono quelle di casa, la moglie, i figli, qualche parente o conoscente. Sui loro visi, la mutevole verità degli anni e delle stagioni, si alterna ai momenti catturati nei paesaggi, nelle nature morte, nei fiori.
Praticamente tutti i dipinti di Mariotti sono collocati nelle Marche e, una buona quantità è raccolta nella Casa Museo Cesarini a Fossombrone.