Pittore, incisore e scrittore italiano, fra gli iniziatori del movimento artistico del Novecento nel 1922 a Milano. Nacque a Fossombrone il 25 maggio 1887. Figlio secondogenito di Achille Muzio e Sestilia Chiavarelli, fratello di Giovanni, scrittore. Compì gli studi liceali a Venezia, essendo la famiglia trasferita a Cittadella, e iniziò a dedicarsi alla pittura.
Nel 1905 è in Lombardia, conobbe Boccioni e seguì i corsi dell’Accademia di Brera di Milano, ma risiedeva a Monza dove si legò al gruppo di artisti che fino al 1909 vi danno vita al Coenobium. Divenne amico di Dudreville e con lui, nel 1906, si recò a Parigi dove rimase fino al 1915. Qui si dedicò all’incisione e conobbe i principali artisti presenti nella capitale francese. Nel dopoguerra, molte mostre lo fecero conoscere e gli procurarono l’invito alla Biennale di Venezia del 1920. Aderì a Novecento, ma dal 1925 si distaccò dal gruppo per affiancare all’attività di artista quella di giornalista e di scrittore. Si dedicò all’arredo dei grandi piroscafi degli anni ’30, pur continuando a prendere parte a mostre internazionali.
Nel 1943 i bombardamenti su Milano gli distrussero lo studio e l’artista si trasferì nella casa paterna di Monza. Negli anni 1949-1950, partecipò alla costituzione dell’importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando un autoritratto, Il ponte sul Metauro; la Collezione oggi è conservata nella Pinacoteca Civica di Forlì. Gli ultimi suoi anni furono segnati da un progressivo isolamento.
Le incisioni eseguite a Parigi comprendono le seguenti raccolte: Le petit Paris qui bouge (25 incisioni), 1908; I vecchi (12 incisioni), 1908; Rouen (9 incisioni), 1908; Paris qui bouge (59 incisioni), 1909; Algeri notturna (6 incisioni), 1912; Bretagna (8 incisioni), 1912. Partecipò alle più importanti mostre parigine, ottenendo anche una menzione onorevole al Salon des artistes français nel 1910. Queste serie di incisioni si ispirano alla cultura grafica francese post-impressionista del primo Novecento, pur conservando caratteristiche tracce dello studio del Fattori, della sua maniera secca e schiva di ogni retorica. L’atmosfera parigina lo avvicinò al gusto di Jean-François Raffaelli, che fu un interprete attento della vita dei boulevards e della banlieue, e alle più acute annotazioni di Pierre Bonnard. Il periodo parigino fu il tempo migliore per la sua arte per l’amore verso gli aspetti della vita degli umili e dei poveri. Egli tracciava ritratti nervosi, caratteristici, di tipi trovati per la via, e la puntasecca era il modo espressivo più appropriato al suo temperamento immediato, sensibile, ironico di illustratore, che si manifestava altresì, con uguale felicità di scrittura, nei ricordi di artisti conosciuti o veduti a Parigi tra il 1906 e il 1915, pubblicati nell’Ambrosiano e nel Corriere della Sera molti anni più tardi, e negli aforismi e nelle pagine diaristiche del Pittore volante (Milano 1930), opera che vinse il premio Viareggio di quello stesso anno.
Bucci descrisse, sempre attento e vivace, molti aspetti della vita di guerra, dal 1915 al 1918, in una serie di 50 puntesecche pubblicate a Parigi nel 1918 col titolo Croquis du front italien, nelle 50 tavole litografiche a colori intitolate Marina a terra (1918) e nelle 12 litografie a colori edite nel 1919 col titolo Finis Austriae. Negli infiniti appunti tracciati nei taccuini di guerra, si notano già gli sviluppi, nel dominio dell’illustrazione, documentati nei loro più precisi caratteri stilistici nelle otto puntesecche per il Primo libro della Giungla di Kipling, che venne edito a Milano nel 1925. Da queste illustrazioni si orientò poi come pittore e decoratore, in un distacco sempre più evidente dalla civiltà grafica degli anni parigini, quasi in polemica con se stesso. E la polemica si acuì, dopo il suo ritorno, nel dopoguerra, a Parigi, capitale delle avanguardie più spinte, e a lui sempre più estranee. Infatti, pur essendo tanto dotato come incisore, volle esprimere nella pittura una specie di ritorno al classicismo, particolarmente auspicato nel primo dopoguerra.
Il suo impegno maggiore fu nel quadro I pittori, una tela compiuta tra il 1921 e il 1924, che doveva rappresentare il suo pensiero sull’arte antitetico ai movimenti d’avanguardia. Il sogno della metropoli, come simbolo della modernità più eccitante, che aveva animato le ricerche dei nostri futuristi, da Boccioni a Severini, da Carrà a Soffici, nelle loro “evasioni” parigine, era per Viani e per il B. una tentazione pittoresca e disordinata, tipica dell’anarchismo della giovinezza.
La libertà di esprimersi, al di fuori degli insegnamenti accademici, al di fuori di ogni tradizione, era un fine per tutti i pellegrini italiani in terra di Francia: Bucci accentuò il proprio distacco ideale dalla contemporaneità, opponendo gli antichi ai moderni, spesso con spirito caustico, con un curioso risentimento romantico. Bucci invecchiò mantenendo una straordinaria vitalità, ricca di umori, nutrita di una cultura singolare, di un’indipendenza morale ammirevole, di un’ironia priva di sarcasmo. Morì a Monza il 19 novembre. 1955.